Colours       

  somma 2                        somma 3      

colori caldi e freddi                      

                     

  primari  

           

            

Accostamenti: introduzione alla teoria dei colori

 

  

Il colore non è una caratteristica assoluta della materia, ma relativa alla qualità dell’illuminazione sotto la quale lo percepiamo. In genere noi chiamiamo “luce” l’illuminazione proveniente dal sole o da una lampadina, ma in realtà queste non sono altro che una porzione dello spettro elettromagnetico che  la razza umana può percepire attraverso gli occhi.

Se qualche giorno ci svegliamo un po’ prima dell’alba e ci mettiamo col naso incollato alla finestra ed una tazza di tè bollente in mano, potremo vedere come il mondo fuori sia nero. Nera l’erba del prato, nere le rose appena sbocciate, neri i cespugli di lavanda. Tutti i colori spariti, come rubati dallo Spirito della Notte di Maurice Maeterlinck. E’ solo poco più di una metafora poetica, sappiamo con certezza che al mattino, quando brillerà il sole, la lavanda tornerà ad essere grigio argento e l’erba verde, ma senza il sole, una lampada o un fiammifero che le illumini, i loro colori cessano di esistere. 

Mano a mano che sorge il sole i colori riemergono, dapprima i rossi e poi via via tutti gli altri, passando attraverso mille, magnifiche, sfumature di grigio.

Tutti sappiamo come il colore delle pagine di un libro cambi se leggiamo alla luce delle comuni lampadine al tungsteno o a quella delle lampade al neon. Più gialla la prima, più bianca e fredda la seconda. Quante volte, disegnando, abbiamo deciso di rimandare al giorno  successivo per non dover continuare con la luce artificiale che “falsa i colori”? 

Se avete visto “The Abyss” ricorderete la scena in cui Ed Harris doveva tagliare il filo d’innesco di una bomba, ma aveva a disposizione solo una torcia da sommozzatore che emanava una luce giallastra, sicché il filo bianco e quello giallo erano identici l’uno all’altro.  

Quindi, se cambia il colore della luce, cambia anche il colore dell’oggetto che ne è illuminato; è un’esperienza empirica che ci capita spesso di fare.

Tutti sappiamo anche che la luce bianca (la porzione di spettro elettromagnetico che va dall’infrarosso all’ultravioletto) è composta da molti altri colori; Newton ne individuò sette con il celeberrimo esperimento del prisma, ma in realtà sono infiniti, poiché in fisica i colori non sono altro che determinate frequenze dello spettro visibile... sembrerebbe  quasi di offendere i  malva, i cremisi, i turchesi, gli ocra, ma invece è un mondo molto affascinante quello dei colori, proprio per questa loro duplice veste di precisi ed algidi elementi della scienza e caldo e morbido mondo delle sensazioni, del piacere e dei ricordi.  

 

cerchio cromatico

 

 

I colori primari  per l’artista sono cinque: il magenta, il ciano, il giallo primario, il bianco ed il nero. Con questi cinque colori è possibile ottenere qualunque sfumatura cromatica. Molto spesso si fa una gran confusione su quello che è un colore primario, un secondario e un complementare. Se prendete un testo di fotografia o una dispensa di scuola di pittura potreste trovare che come colori primari vengono indicati il rosso, il verde ed il blu-violetto. E’ vero, questi sono i colori primari della luce, in fisica. Se prendiamo tre distinti fasci di luce, uno rosso, uno verde ed uno blu-violetto, e li facciamo convergere al centro, troveremo come la somma di tutti e tre dà bianco, mentre la somma tra il rosso e il verde dà il giallo, tra il verde e il blu-violetto dà il ciano, tra il blu-violetto e il rosso il magenta.

Rosso, verde e blu-violetto sono quindi i colori primari della sintesi che viene chiamata “additiva”, poiché la somma dei tre colori dà il bianco, mentre magenta, giallo e ciano ne sono i colori secondari.

Viceversa se prendiamo tre distinti fasci di luce, uno magenta, uno ciano ed uno giallo, la somma dei tre dà il nero, mentre sommati a due a due danno rosso, verde e blu-violetto (magenta + ciano=blu-violetto; ciano+giallo=verde; giallo+magenta=rosso). Magenta, ciano e giallo diventano quindi i colori primari della sintesi “sottrattiva”,così chiamata perché la somma dei tre dà il nero.

Vedete perciò che dire “colore primario” non è modo univoco di far capire di che tipo di colore primario stiamo parlando. Ad esempio bianco e nero sono colori primari per l’artista, poiché non possono essere ottenuti attraverso nessuna combinazione degli altri colori (magenta, giallo e ciano), ma in fisica non esistono perché il bianco è la somma di tutti i colori, mentre il nero è l’assenza di luce e quindi di colore.  

 

sintesi additiva

sintesi sottrattiva

 

Limitandoci alla sintesi cromatica “sottrattiva”, che è la sola utile ai nostri scopi, possiamo individuare dei colori secondari ottenuti attraverso una adeguata miscelazione dei tre primari.

Come vedete dallo schema qui raffigurato, dalla somma di magenta e giallo si ottiene il rosso vermiglione, dalla somma di giallo e ciano il verde pisello, e dalla somma di ciano e magenta il violetto.     In base alle quantità di ognuno dei colori primari avremo dei colori più o meno vicini al primario. Così un verde a cui sia aggiunto meno ciano darà il colore dei limoni ancora acerbi, o dei teneri germogli dei gelsi. Un rosso a cui sia aggiunto molto magenta darà il colore della rosa “Lady Mitchell”, o della “Elfhorn”. Se al contrario aggiungiamo più giallo avremo il colore della “Pat Austin”. E così via.

Le sfumature che vanno dal magenta al giallo vengono chiamate “calde”, mentre le tinte tra il verde e il violetto vengono chiamate “fredde”, sebbene sia importante sottolineare come anche un azzurro, che generalmente è sempre considerato “freddo”, possa esserlo  più o meno a seconda della percentuale di magenta che vi è mescolata, così anche un giallo, colore caldo per eccellenza, può tendere leggermente al verde od al grigio e risultare più freddo della controparte cui sia aggiunto un po’ di magenta.

I colori che si trovano agli opposti del cerchio vengono chiamati “complementari” l’uno dell’altro e non contengono alcun pigmento in comune. I colori complementari accostati danno una impressione ottica quasi sempre  considerata molto gradevole, inoltre danno un’idea di completezza poiché contengono tutti e tre i pigmenti primari, seppur separati.

Accostando un colore al suo complementare otterremo il risultato di rafforzarlo, di esaltarlo. Ad esempio un arancio apparirà più vivace, più squillante, più “giallo”, se accostato ad un blu cobalto o ad un oltremare, ma certamente più pallido e meno carico se accostato ad un rosso pomodoro. E’ bene tenere presente questi contrasti in giardino. Se vorremo esaltare il colore di una macchia di narcisi, non certo vi pianteremo vicino dei tulipani rossi! Purtroppo è un errore piuttosto comune pensare che per evidenziare  un colore  bisogni accompagnarlo con una tinta della stessa tonalità ma più forte. Invece è l’esatto contrario.

Pensate agli esempi estremi: bianco e nero. Nero su nero o bianco su bianco hanno valore di contrasto nullo, ma nero su bianco o bianco su nero hanno il massimo valore di contrasto.

Usare il colore in giardino è una faccenda tutt’altro che semplice e richiede pazienza ed esperienza, non solo buon gusto e un po’ di conoscenza della teoria dei colori. Questo accade perché i fiori hanno delle tinte impure, contenenti percentuali variabili di bianco e nero, spesso sono variegati o sfumati, oppure cambiano colore a seconda dell’esposizione e dell’epoca di fioritura.

Tuttavia conoscere la teoria dei colori è un buon aiuto per partire col piede giusto e può essere un valido supporto nel momento in cui ci troveremo in panne senza sapere bene cosa fare.

Poniamo ad esempio di avere un muro di mattoni rossi, benché qui in Italia siano piuttosto difficili da trovare. Se vogliamo addossarvi un rampicante è assolutamente da evitare qualsiasi cosa che sia rossa o arancione, poiché godrebbe di  poco contrasto. Invece un fiore  bianco o rosa pallido spiccherebbe assai maggiormente.  Così un geranio color fucsia vicino ad un Coleus a foglia dorata, o una Iresine a foglia porpora vicino ad una lavanda color grigio azzurro.

Potrete utilizzare i contrasti “al contrario” se invece volete smorzare una tinta. Se avete una verbena  il cui violetto  non vi piace più come quando l’avete comprata, potrete attutirne la tinta accostandovi un Senecio cineraria. Sarà una tonalità fredda e neutra vicino ad una sempre appartenente alla fascia dei colori freddi, ma con una non indifferente percentuale di magenta (le verbene si sa che non sono mai abbastanza azzurre), quindi più calda; con il risultato che questi colori tenderanno ad incontrarsi al centro e fondersi. Se invece vi accostiamo del Coreopsis non ci sarà più un “centro” ottico verso cui dirigersi, ed ognuno dei due colori tenderà ad andare per conto suo.

Tutti abbiamo presente il famoso giardino bianco di Sissinghurst Castle, in cui Vita Sackville-West mise fiori prevalentemente bianchi. Prevalentemente, ma non esclusivamente. Come abbiamo già detto, il bianco sul bianco non ha alcun valore di contrasto, per cui ella, con molta sapienza ed abilità, inserì dei fiori dalle tinte leggermente rosate proprio per far risaltare il bianco.

In fondo non dobbiamo pensare al giardino a qualcosa di molto differente dalla nostra casa. Un divano color ruggine ha bisogno di un cuscino turchese per essere esaltato, così come una tappezzeria verde giallastro di un accento di carmino chiaro.

 

 

VISIONE DEI COLORI
 

L'occhio umano è sensibile alle onde elettromagnetiche di lunghezza d'onda fra 400 e 700 nm (Fig. 27), che quindi compongono la "luce" visibile. In questo ambito, lunghezze d'onda diverse vengono interpretate come colori diversi, con una lenta variazione dal blu, al verde, al rosso, man mano che la lunghezza d'onda aumenta. Le persone che hanno una visione normale dei colori sono in grado di riconoscere miscele di radiazioni luminose di qualsiasi lunghezza d'onda, combinando in tre proporzioni opportune tre colori primari: il blu, il verde ed il rosso. Questa proprietà della visione dei colori, detta tricromia, dipende dalla presenza nella retina di tre tipi distinti di coni, ognuno dei quali possiede un pigmento visivo diverso. I tre pigmenti visivi si differenziano per la loro parte proteica e non per il cromoforo, che è sempre il retinale. La diversa conformazione proteica (cfr. Fig. 20D) "filtra" la luce differentemente, facendo sì che solo certe lunghezze d'onda e non altre possano essere assorbite dal cromoforo, innestando così la catena della fototrasduzione.
Ciascuno dei tre pigmenti ha uno spettro di assorbimento particolare, anche se ampiamente sovrapposto a quello degli altri tipi. Un tipo di pigmento è particolarmente sensibile alle lunghezze d'onda più corte dello spettro visibile e contribuisce notevolmente alla percezione del blu (viene anche chiamato pigmento C, per onde corte, o B per blu). Un altro tipo di pigmento è particolarmente sensibile alle lunghezze d'onda medie e contribuisce notevolmente alla percezione del verde (viene detto M o V).
 

Fig. 28
Il terzo pigmento assorbe preferenzialmente le lunghezze d'onda più lunghe ed è soprattutto responsabile della percezione del rosso (viene detto L o R) (Fig. 28A).
Alcuni soggetti portatori di difetti genetici possiedono soltanto due pigmenti (dicromatopsia), mentre altri ne hanno soltanto uno (monocromatopsia); in quest'ultimo caso, la interpretazione dei colori è impossibile, e la visione e simile a quella delle persone normali, ma in condizione di scarsa illuminazione, quando la visione si basa esclusivamente sull'attività dei bastoncelli.
I singoli coni non sono in grado di trasmettere informazioni relative alla lunghezza d'onda degli stimoli luminosi. Quando un cono assorbe un fotone, la risposta elettrica che ne deriva è sempre la stessa, quale che sia la lunghezza d'onda del fotone. Ciò è dovuto al fatto che l'assorbimento della luce dà inizio alla isomerizzazione del cromoforo, il retinale, e questo cambio di conformazione, di tipo tutto-o-nulla, della molecola del retinale e la successiva catena di eventi che mette capo alla trasduzione dello stimolo luminoso, sono esattamente gli stessi, indipendentemente dalla lunghezza d'onda del fotone.
Il riconoscimento dei colori richiede la presenza di almeno due tipi di fotorecettori con sensibilità spettrale diversa. Un sistema di questo tipo, detto divariante, è in grado di fornire due valori diversi di luminosità per ciascun oggetto: paragonando i due valori, il sistema nervoso riesce a distinguere i colori. Se, ad esempio, un oggetto riflette prevalentemente la luce di lunghezza d'onda elevata, la risposta del sistema di coni sensibile alle lunghezza d'onda più lunghe darà una risposta maggiore di quella dell'altro sistema ed i centri superiori interpreteranno questo messaggio suggerendo che l'oggetto osservato sia giallo o rosso. Se, invece, l'oggetto riflette in particolar modo le lunghezze d'onda più corte, la risposta del sistema di coni maggiormente sensibile alle lunghezze d'onda più brevi sarà maggiore, e l'oggetto sarà visto come blu o verde. Se poi l'oggetto riflettesse in egual misura sia le lunghezze d'onda lunghe che quelle corte, l'oggetto sarebbe visto come bianco, grigio o nero a seconda della luminosità del suo sfondo. A livello della fovea, il sistema sensibile alle lunghezza d'onda corte non esiste, perciò qui la visione dei colori è divariante. Intorno alla fovea, il sistema diventa trivariante. La visione dei colori, quindi ed evidentemente, non viene impiegata per distinguere i fini dettagli spaziali delle immagini.
La teoria tricromatica attribuisce la visione dei colori all'attività dei tre tipi principali di coni, ma non spiega, di per sé, tre importanti aspetti della percezione dei colori, che sono l'opponenza cromatica, il contrasto simultaneo e la costanza dei colori.
La teoria della opponenza cromatica prevede che i tre colori primari si distribuiscano in tre coppie di colori antagoniste (ed opposte): rosso-verde, giallo-blu e bianco-nero. Le tre coppie di colori sono effettivamente rappresentate, nella retina e nelle successive vie visive, da neuroni eccitati da un colore della coppia ed inibiti dall'altro. Ciò spiega come certe combinazioni di colori tendano a cancellarsi l'un l'altro, in modo tale che certi abbinamenti non possano mai venir percepiti; non esistono, infatti, il verde-rossastro od il giallo-bluastro, mentre sono invece percepibili il rosso-bluastro (magenta), il giallo-rossastro (arancio) o il verde-bluastro (viola). La luce rossa e quella verde possono venir mescolate in modo tale che ogni traccia del rosso e del verde scompaiano e si percepisca un giallo puro; analogamente si può fare col giallo ed il blu, ed avere una percezione di bianco puro.
Il fenomeno del contrasto cromatico simultaneo si osserva a livello dei margini della sagoma di un oggetto, piuttosto che al suo interno, come nell'opponenza cromatica. Un oggetto grigio, ad esempio, visto su uno sfondo rosso acquista una sfumatura di verde; se invece è visto su uno sfondo verde, acquista una sfumatura di rosso. In queste condizioni, i colori delle tre coppie rosso-verde, giallo-blu e bianco-nero si facilitano reciprocamente, anziché antagonizzarsi. A livello della corteccia visiva sono stati trovati neuroni le cui risposte alla stimolazione cromatica mimano l'esperienza percettiva del contrasto simultaneo.
La costanza dei colori è la terza proprietà importante della visione cromatica. La miscela di lunghezze d'onda che viene riflessa dagli oggetti non è determinata soltanto dalla loro riflettanza, ma anche dalla natura delle lunghezza d'onda della luce che li illumina. Quando la composizione della luce incidente varia, i meccanismi che presiedono alla visione dei colori compensano queste variazioni, cosicché il colore degli oggetti sembra sempre lo stesso. Per esempio, un limone è giallo sia alla luce del sole, che è biancastra, che alla luce di una lampada a filamento di tungsteno, che è rossastra, o alla luce fluorescente, che è bluastra. Questa proprietà della visione dei colori è detta costanza dei colori, e dipende in gran parte dall'analisi che il sistema visivo opera nei confronti non solo di un oggetto, ma anche del suo sfondo, o comunque di ciò che lo circonda. A parità di illuminazione, infatti, sfondi di diverso colore possono conferire ad uno stesso oggetto sfumature cromatiche diverse.
Nella retina e nel nucleo genicolato laterale i colori sono codificati da cellule ad opponenza cromatica semplice. Nella corteccia cerebrale, l'informazione relativa ai colori viene elaborata nei blob, dove le caratteristiche di scarica dei singoli neuroni possono spiegare sia l'antagonismo fra i colori che il loro contrasto e la loro costanza.
Le informazioni relative ai colori vengono elaborate in una via nervosa particolare, separata da quelle che riguardano le forme ed il movimento. Le informazioni sui colori vengono analizzate dal sistema parvicellulare-blob, che si estende dal genicolato laterale fino all'area corticale V4, il cui analogo, nell'uomo, si troverebbe nei giri linguale e fusiforme, anteriormente e ventralmente rispetto alla scissura calcarina.
 
 

STEREOPSI
 

Uno dei principali compiti del sistema visivo, essenziali per l'interazione dell'individuo con l'ambiente, è quello di conferire alle immagini visive bidimensionali una valenza tridimensionale. Si ritiene che il passaggio dalla visione a due dimensioni a quella tridimensionale si basi su due tipi di elementi di valutazione: elementi stereoscopici basati sulla binocularità ed elementi monoculari relativi alla profondità di campo.
La visione stereoscopica si basa sul confronto delle immagini retiniche dei due occhi, ed è efficace fino ad una distanza di circa 30 metri, oltre la quale le immagini retiniche dei due occhi sono praticamente identiche. Quando si fissa un oggetto, l'immagine del punto di fissazione va a cadere, in ciascun occhio, sulla fovea, grazie ai movimenti di vergenza. Siccome, però, gli occhi distano circa 6 cm l'uno dall'altro, ogni oggetto che sia più vicino o più lontano rispetto al punto di fissazione proietta la propria immagine ad una certa distanza dalla fovea. In particolare, gli oggetti più vicini proiettano la propria immagine su punti della retina più distanti in senso orizzontale; gli oggetti più lontani la proiettano su punti della retina più vicini (Fig. 28B). In altri termini, tanto più un oggetto è vicino all'osservatore, rispetto ad un punto di fissazione più lontano, tanto più le sue immagini si formeranno, su ogni occhio, esternamente rispetto alla fovea. La distanza fra immagini del punto fissato ed immagini dell'altro punto prende il nome di disparità retinica. Questo fenomeno è apprezzabile anche soggettivamente. Se si fissa un oggetto posto ad una certa distanza (1-2 metri, ad esempio), tutte le immagini degli oggetti più vicini e più lontani rispetto a quello fissato appaiono sdoppiate. Il sistema visivo è in grado di calcolare tale disparità e di assegnare, quindi, un senso di maggiore o minore profondità agli oggetti dello spazio visivo.
La visione stereoscopica